Trivelle, tutto quello che c’è da sapere sul referendum
Il 17 aprile si vota per un referendum abrogativo sulla legge ambientale che regola le trivellazioni in mare. Se vince il Sì, stop alle proroghe per le concessioni estrattive entro le 12 miglia dalla costa.
Gli “ex dieci” Consigli Regionali, hanno posto sei quesiti referendari, con un unico obiettivo: difendere i mari dalle trivelle e prima ancora dai danni certi della ricerca di giacimenti sottomarini di idrocarburi liquidi o gassosi, con la tecnica invasiva dell’airgun. Le Assemblee delle Regioni (Abruzzo), Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto hanno depositato presso la Suprema Corte di Cassazione, a Roma, le deliberazioni che chiedono un referendum per l’abrogazione dell’art. 35 del Decreto «Sviluppo» e di parti dell’art 38 del Decreto «Sblocca Italia». Infatti, le Regioni che sostengono il Referendum “No Triv” sono rimaste in 9. Il consigliere delegato abruzzese, Lucrezio Paolini, ha ritirato la delega al professore Stelio Mangiameli (docente ordinario di Diritto Costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Teramo noncé, Direttore dell’Issirfa-CNR, Roma) a seguito di una decisione assunta dalla Giunta Regionale all’insaputa del Consiglio Regionale e malgrado il Referendum fosse nella sola disponibilità della Corte Costituzionale. Al contempo, si è appreso che la Regione Abruzzo si è costituita in giudizio dinanzi alla Corte costituzionale contro le altre 9 Regioni e a sostegno del Governo per chiedere che il Referendum “No Triv” sia dichiarato inammissibile. Il delegato regionale si è costituito in giudizio dinanzi alla Corte costituzionale, a nome del Consiglio Regionale senza che il Consiglio, unico legittimato a farlo, abbia mai deliberato al riguardo.
La Costituzione repubblicana, all’art. 75, prevede che la consultazione referendaria possa essere richiesta da almeno CINQUE Regioni, obiettivo -quasi- doppiato dai consiglieri regionali. Pertanto, il ritiro della Regione Abruzzo, non ha reso impossibile l’opzione referendaria.
Gli aventi diritto
Possono recarsi alle urne tutti i cittadini italiani che hanno compiuto il 18esimo anno di età; per la prima volta anche chi risiede temporaneamente all’estero potrà partecipare alla consultazione per corrispondenza organizzata dagli Uffici Consolari. Per votare, l’elettore deve esibire i classici documenti (tessera elettorale + carta d’identità oppure la patente di guida). Perché sia valido, il referendum deve raggiungere il quorum, ossia deve andare ai seggi la metà più uno degli aventi diritto, come prevede lo stesso articolo 75 della Costituzione.
Perché la scelta referendaria?
Nel settembre del 2015, Possibile aveva lanciato la raccolta firma per indire otto referendum, tra cui quello sulle trivelle, ma l’iniziativa era naufragata. Nelle settimane successive nove consigli regionali (Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto) hanno promosso sei quesiti. Solo uno è stato ammesso dalla Cassazione, gli altri erano stati superati dalle modifiche alla legge di Stabilità approvata a fine 2015. Un successivo braccio di ferro tra l’esecutivo e le regioni, che contestavano a Palazzo Chigi di aver legiferato su materie di loro competenza, è stato risolto a favore del governo il 9 marzo. E così si andrà al voto su un solo quesito.
Quale domanda sarà “stampata” sulla scheda elettorale del referendum?
Il testo del quesito è il seguente:
“Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», limitatamente alle seguenti parole: «per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale?»”
Si chiede così agli italiani di cancellare l’articolo del codice dell’ambiente che permette le trivellazioni fino a quando il giacimento è in vita. Il quesito riguarda solo le operazioni già in atto entro le 12 miglia marine dalla costa, non quelle sulla terraferma oppure in mare a una distanza superiore. Il D.Lgs. 152/2006 prevede già il divieto di avviare nuove attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi gassosi o liquidi entro le 12 miglia, per cui il referendum agisce solo su quelle già in essere.
Perché votare Sì
Un’eventuale vittoria del Sì bloccherebbe tutte le concessioni per estrarre il petrolio entro le 12 miglia dalla costa alla scadenza dei contratti attualmente attivi. Di fatto il referendum riguarda 21 concessioni: 7 sono in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in Basilicata e in Emilia-Romagna, 1 in Veneto e nelle Marche. Rispecchiano la presenza di giacimenti finora individuati lungo la costa Adriatica, nel golfo Ionico e nel Sud della Sicilia.
Oggi le concessioni hanno una durata di trent’anni, prorogabili di dieci e poi di ulteriori cinque anni. Con il Sì non sarebbe più possibile andare oltre, eliminando la possibilità di proroga: questo comporterebbe la cessazione nel giro di alcuni anni delle attività attualmente in corso, tra cui quelle di Eni, Shell e di altre compagnie internazionali.
Cosa cambia se vince il No
Si tratta di un referendum abrogativo e un’eventuale bocciatura lascerebbe la situazione inalterata. Ossia, come già accade, le ricerche e le attività petrolifere attualmente in corso potranno proseguire fino a scadenza. Successivamente le compagnie potranno presentare una richiesta di prolungamento dell’attività (30 anni + 15 di proroga), che sarà autorizzata sulla base di una valutazione di impatto ambientale.
Dunque le estrazioni di idrocarburi non avranno scadenza certa, in molti casi potrebbero proseguire fino all’esaurimento del giacimento. Nulla cambia per quanto riguarda le trivellazioni sula terraferma e per quelle condotte in mare oltre le 12 miglia dalla costa. Né potranno per via di questo voto essere firmate nuove concessioni a ridosso della costa.
Chi sostiene il Sì
Guidato dai nove consigli regionali che hanno promosso il referendum, il fronte del Sì riunisce le maggiori organizzazioni ambientaliste (Legambiente, Greenpeace, Wwf) e il movimento “No Triv”, sorto negli scorsi mesi. Hanno l’appoggio di forze politiche quali il Movimento 5 Stelle, Sinistra italiana e Possibile, cui si aggiungono pezzi del Pd e esponenti del centrodestra come i presidenti di Regione Zaia e Toti.
Le motivazioni sono principalmente di carattere ambientale: le trivellazioni, è quanto si sostiene, metterebbero a rischio le coste italiane e creerebbero inquinamento, arrecando danno a pesca e turismo. Con il Sì intendono mandare un messaggio politico al governo: il futuro è nelle fonti rinnovabili, sulla base dell’Accordo emerso dalla conferenza sul clima di Parigi è urgente un rapido cambio di strategia per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico nazionale.
Chi sostiene il No
Matteo Renzi e il suo governo per il momento non si sono spesi per il No al referendum, ma sono certamente contrari all’iniziativa delle Regioni. Allo stesso modo la maggioranza del Partito Democratico. Secondo loro, l’impatto ambientale delle trivellazioni sarebbe stato per ora moderato e lo stop alla proroga delle concessioni entro le 12 miglia cambierebbe poco o nulla. Insomma, si tratterebbe di un voto inutile e politicizzato.
Al contempo c’è chi, come il fondatore del comitato Ottimisti e razionali Gianfranco Borghini, sostiene che una vittoria del sì avrebbe conseguenze pesanti sull’occupazione e che la fine delle estrazioni significherebbe la perdita di migliaia di posti di lavoro sulle piattaforme offshore. Diviso anche il sindacato: il segretario dei Chimici della Cgil Emilio Miceli ha paventato il rischio disoccupazione per i dipendenti in un settore in cui “l’Italia primeggia nel mondo”.