PERUGIA – Stringeva ancora in mano il ricorso per separazione giudiziale con il quale chiedeva l’affidamento del figlio di 10 anni e l’assegnazione della casa. Stringeva ancora in mano quel foglio quando il marito, davanti a quel gesto, prese il fucile e lo puntò al cuore della donna. Lei morì sul colpo, lui disse ai carabinieri: «Non sono pentito, lo rifarei». Da quell’estate del 2003 la giustizia si è messa in moto e molte cose sono accadute: l’uomo è stato condannato per uxoricidio, il figlio della coppia è stato affidato ad una delle sue sorelle che, all’epoca, erano già maggiorenni.
Ma a volte le ragioni che stanno al fondamento delle leggi non hanno niente a che vedere con l’etica, mancano di equità. Perché lui, il marito assassino, condannato a trent’anni di carcere, ha diritto, comunque, a ricevere la pensione di reversibilità della moglie. Per legge a lui spetta l’80 per cento, al figlio, minorenne, solo il 20. Una situazione paradossale, un “muro” legislativo contro il quale tutti i percorsi intrapresi dal legale che tutela il minore, l’avvocato Claudio Caparvi di Perugia si sono dovuti interrompere.
Questa la vicenda nei dettagli. Pochi mesi dopo l’omicidio il marito assassino viene condannato a trent’anni di carcere, una condanna confermata in Appello. La Cassazione, però, annulla il processo per un vizio formale. Il processo viene spostato a Firenze ma è poco più che una formalità, perché la condanna a 30 anni viene nuovamente confermata. Nel frattempo, in attesa dell’ultima parola della Cassazione, dopo quattro anni, l’uxoricida decide di fare rinuncia formale della pensione di reversibilità a favore del figlio.
«Ma nemmeno con questa rinuncia sarà possibile far avere al figlio interamente la pensione della madre – spiega l’avvocato Caparvi -. Il padre ha perso la patria potestà ed è stato dichiarato indegno a succedere per quanto riguarda l’eredità della moglie. Ma la pensione spetta a lui per l’80 per cento: non è possibile nemmeno rinunciarvi». Senza esito anche tutte le richieste che sono state fatte, in questi anni, all’Inpdap, l’ente che deve pagare la pensione di reversibilità della vittima.
«Abbiamo presentato la sentenza del tribunale che aveva dichiarato l’ex coniuge escluso, per indegnità, dalla successione della moglie, cosa da cui emergeva anche che le sentenze penali erano ormai definitive – spiega l’avvocato Caparvi – abbiamo avanzato seri dubbi circa la legittimità della concessione della pensione indiretta in favore del vedovo e chiesto che, almeno, venisse accresciuta la quota che spetta al figlio orfano». Le richieste «pur esprimendo la propria profonda condivisione sulle valutazioni etiche messe in rilievo», sono state rimandate al mittente dall’Inpdap: non si può far avere la pensione della madre uccisa al figlio «perché sussiste il diritto del vedovo alla concessione della propria quota di pensione».
E’ un diritto che la legge considera «a titolo originario» e, quindi, non entra a far parte dell’eredità. Dunque non può essere ”intaccato” dall’istituto dell’indegnità. Un fatto del genere, ricorda sempre l’Inpdap, era già stato sollevato qualche anno prima, per un uxoricidio avvenuto in Sicilia, ma «non esiste alcuna norma specifica che punisca gli autori di particolari reati con la perdita del diritto al trattamento della pensione».
E la giurisprudenza, su un casi come questi che, comunque, sono rari, non si è quasi mai espressa. Così, la sorella che ha in affidamento il ragazzo e che cerca in tutti i modi di garantirgli un po’ di benessere, sta portando avanti la sua battaglia con il tribunale civile per chiedere qualche sostegno in più, con, fino a questo momento, una fortuna incerta e una spesa economica sicura: ogni domanda, infatti, deve essere presentata in carta bollata dal costo di 8 euro. E al figlio della vittima, che ora ha quasi 15 anni, rimane l’eredità più pesante: il dolore per la perdita della madre, la solitudine della sua battaglia per avere una vita decorosa. Quello che gli spetta, dopo tanta sofferenza e che una legge ingiusta gli nega.
da http://www.ilmessaggero.it