INCHIESTA ITALIANA. Siamo il Paese dei malati immaginari. Dagli ultimi controlli
su 200mila pratiche emerge che un pensionato su 10 è perfettamente sano
Le ultime scene della commedia le hanno girate i carabinieri di Napoli immortalando in un video un cieco che parcheggia l’auto e un altro in fila alle poste mentre legge il giornale. Le hanno scritte i magistrati di Siracusa, raccontando nei verbali la storia dell’assessore comunale che prometteva pensioni in cambio di voti e dettava ai medici compiacenti le percentuali di handicap da assegnare: 74, 74, 100. “Erano solo pronostici”, si è difeso il “profeta” di fronte alle intercettazioni che lo incastravano. Il film dei furbi, i pm di Palermo l’hanno invece ambientato fra i palazzoni dello Zen 2 progettati da Gregotti. In ogni condominio almeno un falso invalido: in via Rocky Marciano ne hanno scovati quindici. Lì vicino, in via Agesia di Siracusa, nove. Il Paese degli assegni di assistenza facili è raccontato da storie rocambolesche che fanno da sfondo alle inchieste giudiziarie e da numeri impressionanti che emergono dalle indagini dell’Inps. Appena si è mosso, l’anno scorso, l’istituto ha constatato subito la dimensione del fenomeno. Ecco l’esito delle prime verifiche: sul campione di 200 mila pratiche controllate poco più del 10 per cento, 22.000, sono state cancellate.
Erano intestate a gente in buona salute. Altre 20 mila sono in attesa di esame e definite a rischio. Per il 2010 sono stati disposti centomila nuovi controlli straordinari, restringendo il campo solo ai casi più sospetti: assistiti in giovane età o affetti da patologie dalle quali solitamente si guarisce. Ma c’è una montagna da scalare. Quanti sono davvero oggi i falsi invalidi in Italia? E quanto pesano sui bilanci dello Stato?
Un miliardo in fumo
L’Inps si muove in quella che il presidente, Antonio Mastrapasqua, definisce “una terra sconosciuta”. Dove, racconta, “stanno insieme il malato di Sla e chi ha un dolore al gomito”. L’unica certezza è la costante crescita della spesa annua per l’assistenza agli invalidi civili: dai 13,5 miliardi di euro del 2006 ai 16,6 previsti nel 2010. E il numero, anch’esso in aumento, degli assistiti: oggi sono 2 milioni 741 mila. Se si applicasse la percentuale di pratiche irregolari emerse sinora al numero complessivo delle prestazioni, saremmo di fronte a quasi 12 mila nuovi falsi invalidi nell’anno appena iniziato. Riempirebbero 256 autobus e infoltirebbero una colonna che trasporta già altri 300 mila colleghi. Ma l’Inps invoca cautela, sottolineando le peculiarità del campione, che escludeva alcune fasce di invalidità ritenute certe. L’istituto vuole voltare pagina, con una riforma che accorcia l’iter burocratico per ottenere i contributi e assegna all’istituto un maggiore controllo sulle procedure. “La cosa più importante adesso non è la ricerca dei falsi invalidi, ma evitare di laurearne di nuovi”, dice Mastrapasqua. Per non far crescere la cifra innominabile delle risorse pubbliche sperperate: “Sicuramente alcune centinaia di milioni di euro”, afferma, prudente, il presidente dell’Inps. In realtà un miliardo, se non di più. Eccola, la voragine nei conti dello Stato. Come si è prodotta? A chi conviene far muovere questo ingranaggio?
Le fabbriche degli invalidi
Nel Paese degli scaltri, quella dei malati virtuali è una macchina che produce favori per molti: non solo per i beneficiati diretti ma anche per politici, criminali e qualche associazione ufficialmente dedita alla carità pubblica. La catena di montaggio delle false pratiche è alimentata da soldi o voti. C’è solitamente un collettore delle domande (lo “spicciafaccende”) e un utilizzatore finale, il falso invalido. “Una pratica può costare fino a 6 mila euro”, racconta il pentito Alessandro Galante al pm palermitano Sergio Demontis. Il meccanismo è semplice: i procacciatori di assegni illegittimi si dividono i soldi degli arretrati, il credito accumulato dall’assistito dal momento della domanda a quello del riconoscimento dell’invalidità. Il falso invalido incasserà nel futuro, il boss si porta a casa la somma maturata nel passato. Ma nella catena ci devono essere complici a ogni passaggio. Ad aiutare i furbi una vera e propria giungla di organismi che, fino al 31 dicembre scorso, concorrevano alla decisione finale. Dodici passaggi, quasi una via crucis. Fino a poche settimane fa la trafila era infinita: domanda all’Asl, visita medica, trasmissione del verbale all’Inps, verifica della commissione periferica del ministero del tesoro (in alcune regioni), esame del verbale da parte dell’Inps. A questo punto, a seconda del giudizio dell’istituto di previdenza, ulteriori accertamenti oppure trasmissione del verbale all’Asl e quindi il via libera dell’ente concessore. Che in Campania, ovvero nella regione meridionale con il maggior numero di assistiti, era fino a un mese fa il Comune o la Provincia: “Non esattamente una garanzia di resistenza alle pressioni”, fa notare il presidente dell’Inps Mastrapasqua. Un iter estenuante: 345 giorni la media italiana, quasi due anni in Sicilia. Dove, stando alle statistiche, su dieci malati di tumore, sette muoiono prima di ricevere l’assegno: i falsi invalidi tagliano la strada a chi ha davvero bisogno. A ogni stazione della via crucis è in agguato la truffa. La mancanza di controlli incrociati fra i vari organismi e l’assenza di un numero di protocollo unico per ogni singola pratica ha favorito l’illegalità. Numerosi i casi in cui le commissioni mediche sono state allegramente saltate con un verbale falso e un timbro fai da te. Ma il punto più pericoloso del viaggio è proprio il passaggio dalle commissioni mediche: a Siracusa l’ex assessore Francesco Zappalà, presidente della locale sezione dell’Anmic (Associazione nazionale invalidi e mutilati civili), si appoggiava, stando alle accuse, a un medico compiacente provvidenzialmente inserito nel gruppo di coloro che esaminavano le domande. Quel medico, a sua volta, era la punta di un iceberg di favori e connivenze. Ma come funzionano questi organismi che decidono chi è meritevole di un sostegno economico e chi no?
Lo zampino della politica
Le commissioni di verifica delle invalidità vengono pagate a cottimo: 7 euro a pratica per ognuno dei 4 medici, tre dei quali nominati dal direttore generale dell’Asl, a sua volta scelto dai politici. In certi casi, nelle regioni del Sud, le commissioni arrivano a smaltire 40 pratiche a seduta. Un’attività redditizia, che a un camice bianco può assicurare 280 euro in un pomeriggio. Un’attività alla quale guarda con attenzione chi cerca rendite elettorali. Luciano, nome di comodo, ha fatto parte per vent’anni delle commissioni mediche palermitane. E racconta: “Questo settore è una miniera di voti: produce almeno un deputato l’anno”. Le associazioni che rappresentano gli invalidi hanno un membro di diritto nelle commissioni di invalidità. E ora sono nel mirino. A Siracusa il caso Zappalà. A Palermo il rappresentante dell’Anmic è stato fino a poco tempo fa Antonino Rizzotto, un ex deputato regionale dell’Mpa (poi transitato nel Pdl) che alle elezioni del 2006 fece il “botto”: 8.150 voti che gli valsero pure la guida della commissione Sanità dell’Assemblea regionale siciliana. Ora Rizzotto ha lasciato posto, nell’associazione, alla sorella: una vocazione di famiglia. Il presidente dell’Unione ciechi, a Palermo, è un consigliere comunale della potente Udc di Cuffaro: si chiama Luigi Di Franco e alle Comunali del 2007 prese 1.477 voti. Quella degli invalidi, insomma, al Sud è una storia che si intreccia strettamente con la politica. A Napoli il demiurgo dei finti ciechi sarebbe Salvatore Alaio, titolare di un patronato e consigliere della municipalità di Chiaia, 1.912 preferenze nella lista di Forza Italia, arrestato con moglie e genitori. La truffa è stata denunciata da Fabio Chiosi, presidente della municipalità e suo collega di partito. In Sicilia, a ogni elezione, sono tanti i medici delle commissioni di invalidità che finiscono in lista: al punto che, tranne le emergenze, l’attività delle commissioni viene sospesa in periodo elettorale. Succede anche questo, nella terra delle invalidità facili. Ma quanto vale il riconoscimento di un handicap?
I “benefit”
L’assegno di assistenza di 255 euro scatta solo con una percentuale di invalidità dal 74 per cento in su. Il proliferare di finti pazzi – a Napoli, ma anche a Palermo – è legato proprio al raggiungimento di questo tetto. “A una persona affetta da gastroduodenite basta riconoscere una depressione per aumentare la percentuale e far varcare la soglia per la pensione”, spiega chi indaga nel capoluogo campano: mens insana in corpore insano. Con il cento per cento scatta anche l’assegno di accompagnamento di 472 euro, che non è vincolato all’età e al reddito dell’assistito. E poi c’è la legge 104, che dà diritto a tre giorni di assenza dal lavoro ogni mese. C’è la possibilità di non pagare il biglietto su bus, tram e metropolitane, l’esenzione dal pagamento del bollo auto, lo scontro sull’acquisto delle vetture e sulle polizze assicurative. Fino al mitico pass H, che garantisce di parcheggiare liberamente e viaggiare nelle corsie preferenziali nei centri storici di tutta Italia. Benefici sacrosanti, per gli invalidi veri. Ma non pochi ne hanno abusato: a Cortina d’Ampezzo i vigili hanno trovato falsi permessi all’interno di auto lasciate a ridosso delle piste da sci ed è scattata un’inchiesta della Procura. A Palermo si indaga su un giro di pass rilasciati con troppa facilità o addirittura oggetto di un mercato clandestino. Ma dove sorgono, in Italia, i regni dei falsi invalidi?
Un Paese a due velocità
Non è una mappa uniforme, quella dell’invalidità civile. In Trentino, nel 2009, è stata concessa una nuova pensione. Una sola. Ma chi pensa che da Roma in su il fenomeno non esista deve ricredersi: la regione con il maggior numero di assegni per abitante (5,48) è l’Umbria. E, in valori assoluti, la Lombardia batte tutti: quasi 269 mila invalidi, con una spesa di un milione di euro l’anno per garantire i compensi dei medici delle commissioni di invalidità. Ma due terzi dei sussidi erogati continuano a raggiungere assistiti del Centro-sud, dove gli assegni rilasciati dall’Inps diventano un sostegno sociale. E dove l’abuso ha disegnato una realtà a macchia di leopardo. Città, paesi, quartieri popolati da malati dalle cartelle mediche sospette. A Napoli, lungo l’interminabile vicolo del Pallonetto di Santa Lucia, dal Chiatamone a Monte di pietà, rumoreggiano i parenti dei sessanta finti ciechi finiti in carcere con l’accusa di falso. E ora si indaga su trecento falsi matti dello stesso rione. Ogni giorno, racconta Antonio Barra, presidente della commissione medica di zona, è una continua lotta con pazienti “che fanno scena muta, si gettano per terra o minacciano di darsi fuoco per farsi assegnare l’invalidità per problemi mentali”. A Palermo è ancora in corso il maxi-processo a mille falsi invalidi: una miriade di procedimenti davanti al giudice monocratico, condanne per sei mesi e restituzione degli arretrati. Il volume di affari fatto con le tangenti, per i registi del raggiro, è stato di sei milioni di euro. Ci sono gli invalidi dello Zen e quelli del Comune di Misilmeri, un centinaio. Interi nuclei familiari alle prese con affezioni tutte uguali: demenza senile per i più anziani, forme di epilessia per i giovani. Uno dei protagonisti della truffa, Antonino Cusimano, invalido anche lui, ha confessato di aver fatto avere la pensione – fra gli altri – alla sorella, alla figlia e a tre cognate. A Carlentini, nel Siracusano, gli abitanti alla ricerca di un assegno si rivolgevano al dottor Massimo Gramillano, medico con la passione per la politica e guaritore al contrario: aiutava i compaesani a diventare invalidi. E domandava in cambio voti, per sé e per conto di Zappalà. Alla signora Giovanna ne ha chiesti quattro, uno per ogni componente della famiglia. Lei ci è rimasta male, anche perché pure il marito era candidato. Così, complice un’intercettazione telefonica, la donna ha raccontato tutto ai magistrati. Ed ha preso corpo l’inchiesta: ma il reato di voto di scambio si prescrive in due anni e tutto rischia di finire a tarallucci e vino. A Taranto, dove c’è un invalido ogni due famiglie, la commissione di verifica dell’Inps ha rilevato cartelle mediche di sedicenti malati di mente che da soli conducono aziende. E a Enna i medici incaricati di rivedere le invalidità concesse hanno scoperto malattie accertate nel 1980 e mai più verificate. Chi, per fortuna, è guarito, continua ad essere malato. Almeno per lo Stato.