L‘integrazione alla pensione di reversibilità, in caso di invalidità, è un diritto poco conosciuto previsto dal Decreto legge 69/1988, convertito nella legge 153/88, nonché dalla Cassazione con sentenza n.7668/96.
Dunque, le persone invalide al 100% di qualunque età, in caso di morte del coniuge, possono conseguire un assegno di vedovanza che consiste in un aumento di 53 euro mensili sulla pensione se sono titolari di reversibilità INPS o INPDAP (ovvero se il coniuge defunto aveva un lavoro dipendente) e sempre che non superino determinati limiti di reddito.
Quello dell’integrazione della pensione è un “diritto inespresso”, ossia di un diritto che spetta al cittadino solo se questi ne fa esplicita richiesta all’Inps; questo significa che se l’interessato non fa domanda in tal senso non può percepire l’assegno integrativo.
La norma di legge che prevede tale diritto è l’art. 2 comma 8 del D.L. n. 69/1988, convertito nella legge 153/88 secondo cui: “Il nucleo familiare può essere composto di una sola persona qualora la stessa sia titolare di pensione ai superstiti da lavoro dipendente ed abbia un’età inferiore a 18 anni compiuti ovvero si trovi, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro”.
I beneficiari dell’integrazione della reversibilità
Il diritto all’assegno integrativo spetta a vedove e vedovi dei dipendenti pubblici e privati, titolari di pensione di reversibilità, “se riconosciuti inabili a proficuo lavoro”.
Per “inabili a proficuo lavoro” s’intende il vedovo o vedova che siano invalidi al 100%, oppure titolari di pensione di accompagnamento o che abbiano richiesto uno specifico certificato (SS5). In quest’ultimo caso, in pratica, chi non è invalido al 100% né percepisce l’accompagnamento, può richiedere al proprio medico di famiglia di certificare l’inabilità al proficuo lavoro, inoltrando poi all’Inps il documento “SS5”.
Inizialmente l’INPS aveva interpretato la norma di legge appena richiamata in modo restrittivo escludendo dal diritto il coniuge superstite, in assenza di figli contitolari della pensione ai superstiti finché la Corte di Cassazione con sentenza n. 7668 del 1996 non ha stabilito che l’assegno: “spetta, ai sensi dell’art.2, comma 8, della L. 153/88, anche nel caso in cui il nucleo familiare sia composto da una sola persona, al coniuge superstite titolare dì pensione per i superstiti ed affetto da infermità o difetti fisici tali da determinare l’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro”. Con circolare n. 98/98, l’Inps prende atto dell’orientamento della Corte, impartisce istruzioni operative alle Sedi e afferma che l’assegno può essere riconosciuto nei limiti della prescrizione quinquennale. Successivamente con la circolare n. 11/99 l’Inps ha chiarito che i richiedenti ultra 65enni, in possesso di certificazione medica ASL che provi le gravi difficoltà a svolgere compiti e funzioni dell’età, saranno convocati a visita medica (è necessario almeno 80% invalidità).
Ammontare dell’assegno integrativo
L’importo dell’assegno integrativo dipende dal reddito del vedovo o della vedova:
- Reddito familiare fino € 27.899,67: l’assegno è pari a 52,91 euro mensili;
- Reddito familiare da 27.899,68 fino a euro 31.296,62, l’assegno è pari a 19,59 euro mensili;
- Reddito superiore: non spetta alcun assegno.
Dal momento che la prescrizione è quinquennale, il richiedente può avere diritto a 5 anni di arretrati.
Presentazione della domanda
Per richiedere l’integrazione della pensione di reversibilità occorre trasmettere telematicamente apposita domanda all’INPS, anche tramite l’ausilio del patronato che provvederà all’inoltro delle istanze per le persone che non siano in grado di effettuarlo in autonomia.
Ai fini dell’inoltro della domanda occorre la seguente documentazione: codice fiscale, carta di identità, tessera sanitaria, prospetti di pensione Mo.0 bis M oppure CUD, verbale ASL attestante l’invalidità al 100%, modello SS3 (da compilare da parte del medico).
Fonte:https: www.invalidi-disabili.it