La Cassazione accorda il risarcimento agli eredi del dipendente morto a causa della mole di lavoro

Con la sentenza n. 9945 dell’8 maggio 2014 i giudici di legittimità hanno respinto il ricorso di una nota azienda di telecomunicazioni contro la decisione che stabiliva l’obbligo, a carico della stessa, di risarcire gli eredi del lavoratore stacanovista.
L’uomo era deceduto per un infarto imputabile allo stress lavorativo; dall’istruttoria emergeva che il datore aveva imposto ritmi di lavoro serratissimi, e che la prestazione lavorativa aveva luogo per circa undici ore al giorno.
Queste condizioni, protrattesi per un lungo periodo, avevano causato la morte dell’uomo, essendo infatti emerso dalla Ctu che l’infarto era ricollegabile alle vicende lavorative.

 

Ad avviso della difesa, era lo stesso dipendente che si imponeva lo sforzo lavorativo, sostenendo la mole di lavoro con grande impegno, e con coinvolgimento intellettuale ed emotivo.
Ma i giudici non hanno dato credito a questa tesi, e dall’accertamento compiuto in sede di merito era emerso che «l’oggettiva gravosità e l’esorbitanza dai limiti della normale tollerabilità non era in alcun modo riconducibile a iniziative volontarie del lavoratore di addossarsi compiti non richiesti o di svolgere gli incarichi con modalità non coerenti con la natura e l’oggetto degli stessi».
L’articolo 2087 del codice civile, conclude la Cassazione, impone al lavoratore la prova di aver subito il danno ricollegabile all’attività lavorativa, e il datore può evitare la condanna solo se prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitarlo: nel caso di specie, poiché i presupposti di fatto che integrano la prova gravante sul prestatore di lavoro erano stati tutti positivamente accertati, e non era stata fornita una prova liberatoria sufficientemente valida dall’azienda, il ricorso è stato respinto.

 

Fonte: www.diritto.it

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